Il primo passo da percorrere sarà quello dell’utilizzo di farmaci atti a rallentare la frequenza in corso di fibrillazione. Si tratta di farmaci che agiscono particolarmente sul nodo atrio-ventricolare (unico normale punto di trasmissione elettrica degli impulsi tra atri e ventricoli) e sono farmaci ampiamente utilizzati. Ne sono esempi i beta-bloccanti, la digitale ed i calcio-antagonisti. Nel caso i cui tali farmaci fossero inefficaci ovvero mal tollerati ovvero ancora provocassero effetti collaterali pericolosi quale il rallentamento eccessivo della frequenza cardiaca, una strategia alternativa potrà essere quella dell’impianto di un pace-maker (inserito allo scopo di scongiurare rallentamenti eccessivi della frequenza) e della continuazione della terapia con farmaci atti a rallentare la frequenza. Ancora, e particolarmente interessante e di facile attuabilità, esiste la strategia cosiddetta di “ablate&pace” (ablazione + pace-maker): si tratta di impiantare un pacemaker e, a distanza di almeno un mese dall’impianto del dispositivo, eseguire una ablazione transcatetere della “giunzione atrio-ventricolare”, procedura, quest’ultima, di semplice esecuzione, che non richiede alcuna sedazione, di breve durata (circa 30 minuti) e di successo certo. In questo modo, avendo interrotto l’unica comunicazione elettrica tra atri e ventricoli, gli atri continueranno a “fibrillare”, ma gli effetti della fibrillazione non saranno trasmessi ai ventricoli, il cui comando verrà assunto dal pacemaker. E’ evidente che il paziente sottoposto a questo tipo di procedura diverrà totalmente dipendente da tale dispositivo e non avrà più bisogno di assumere farmaci atti a rallentare la frequenza cardiaca, e continuerà ad assumere la terapia anticoagulante.